“Siamo in grado di creare organizzazioni libere dalle patologie che emergono troppo spesso nei posti di lavoro? Libere da giochi politici, burocrazia e lotte intestine; libere da stress ed esaurimenti nervosi; libere da rassegnazione, risentimento e apatia; libere dalla superbia in alto e dalla indolenza in basso? È possibile reinventare organizzazioni, figurarsi un nuovo modello che renda il lavoro produttivo, soddisfacente e significativo? Possiamo creare posti di lavoro come luoghi dell’anima – scuole, ospedali, imprese e volontariato – dove i nostri talenti possano fiorire e le nostre aspirazioni possano essere onorate?”
Un bel libro mi ha trovato: Reinventing Organizations (Reinventare le Organizzazioni) di Frederic Laloux.
Vi si narra di aziende incredibili dove, per esempio:
- non vi sono quasi livelli gerarchici né definizioni prefissate di ruoli e responsabilità;
- gli stipendi hanno differenze molto limitate, sono stabiliti autonomamente calibrandosi con i propri pari e non esistono bonus ma eque divisioni degli utili;
- le informazioni sono disponibili a tutti incluse quelle sugli stipendi e sui bilanci;
- il lavoro e i progetti sono organizzati in autonomia da piccole squadre dove ci si conosce tutti;
- per far avanzare il lavoro non ci sono riunioni pianificate ma solo alla bisogna;
- vi sono però incontri pianificati per imparare a gestire i conflitti e trarne delle opportunità;
- si dispone di spazi per la meditazione e il silenzio;
- si può richiedere assistenza a dei coach o ad altri gruppi di lavoro;
- la forza vendita non ha bisogno di incentivi;
- il marketing è semplicemente “quello che si desidera offrire al mondo”;
- coscientemente si cerca un “clima” ottimale per favorire gli scopi dell’organizzazione;
- vi si attuano pratiche per favorire l’apertura gli uni agli altri e formare comunità;
- non vi sono fumose “vision” o vuote “mission”, ma valori chiari tradotti in regole applicabili;
- questi valori e regole si discutono regolarmente;
- si favorisce la responsabilità di chiunque p.es. potendo decidere acquisti o investimenti in base a processi di consiglio con chi ne è coinvolto;
- l’innovazione e lo sviluppo non sono dettate dalle condizioni esterne del mercato o creando ad arte delle nuove necessità ma dagli scopi profondi dell’organizzazione, dalla bellezza e dall’intuizione;
- i fornitori non sono scelti solo in base a qualità e prezzo ma anche in base alla congruità con gli scopi dell’organizzazione;
- le strategie non sono calate dall’alto del top management ma emergono organicamente dall’intelligenza collettiva e dall’auto organizzazione delle squadre;
- molto altro che sarebbe lungo descrivere qui.
Che strane aziende sono mai queste? Sono molto diverse tra loro e… si fa prima a leggerne la lista presa in analisi che a spiegare:
- AES – multinazionale – Energia – 40.000 impiegati – profit.
- BSO/Origin – multinazionale – Consulenza informatica – 10.000 impiegati – profit.
- Buurtzorg – Olanda – Assistenza infermieristica domiciliare – 7.000 impiegati – no-profit.
- ESBZ – Germania – Scuola (liceo) – 1.500 tra studenti, staff e genitori – no-profit.
- FAVI – Francia – Metalmeccanica – 500 impiegati – profit.
- Heilingenfeld – Germania – Ospedale per malati mentali – 600 impiegati – profit.
- Morning Star – USA – Conserve di pomodori – 2.400 impiegati – profit.
- Patagonia – USA – Abbigliamento – 1.350 impiegati – profit.
- RHD – USA – Servizi sociali – 4.000 impiegati – no-profit.
- Sound True – USA – Edizioni (musica, libri, seminari di spiritualità) – 90 impiegati – profit.
- Sun Hydraulics – multinazionale – componenti idraulici – 900 impiegati – profit.
Sembra impossibile che esista già questa umanità e che davvero da qualche parte si lavori insieme con profitto senza usare la logica di “comando e controllo”, di “bastone e carota”.
A tutta prima, avevo pensato che il sottotitolo del libro (Una guida per creare organizzazioni ispirata dal prossimo livello della coscienza umana) fosse una sparata per attrarre sprovveduti lettori che si bevono mirabolanti soluzioni di fanta-economia. Poi mi sono felicemente ricreduto. Organizzare il lavoro in queste modalità non si inventa “a tavolino”. Appare piuttosto come il frutto di una maturazione morale interiore che arriva a manifestarsi. Un livello di coscienza che arriva a considerare le persone come esseri di valore intrinseco, meritevoli di fiducia, capaci di motivarsi, apprendere e migliorare in modo autonomo, organizzarsi e prendere decisioni per il meglio.
Non sono ancora in grado di riassumere questo libro molto provocante che destabilizza la mia esperienza nella piccola impresa e nelle multinazionali. Avevo già ben chiaro che la diffusa modalità di organizzare le aziende a livelli gerarchici (come le chiese o gli eserciti) rispecchia a livello psicologico lo schema della crescita fisiologica: prima si è bambini-apprendisti e i genitori-dirigenti ci affidano mansioni semplici e non rischiose; poi si diventa giovani-professionisti e si assumono responsabilità circoscritte; infine si può diventare adulti-imprenditori e si è totalmente auto-responsabili. Ma questo sistema non è automatico come quello fisiologico. Molti restano (per scelta o per opportunità) al livello dei dipendenti, barattando per una stabilita retribuzione un certo limite di responsabilità. Questo può comportare un blocco della crescita animico-spirituale in specie se il lavoro diventa routine, si resta sempre nello stesso ambiente e il tempo che rimane è assorbito da incombenze familiari e di sussistenza. Questa immobilità si scontra in modo drammatico con l’avanzamento tecnologico che rende inutili molte professioni. E poche cose sono devastanti per l’animo umano come sentirsi inutili.
Qui si gioca la grande sfida evolutiva per trasformare il lavoro da maledizione divina dopo il peccato originale a paradiso riconquistato dove si cresce nella bellezza e si realizzano le aspirazioni più Umane.
Ora accenno alla questione del Reddito di Base che sta pian piano emergendo come argomento in considerazione. Alcuni pensano che in un’epoca dove la produzione di beni primari non è tecnicamente più un problema, si possa sancire il diritto alla sussistenza per tutti, dalla nascita alla morte. Si intende per “sussistenza” un reddito per cibo, abitazione, cure sanitarie e beni di minimo decoro personale, non altro. Ma tralasciando la questione di come questo reddito di base sia possibile erogarlo o meno, cosa comporterebbe poter passare da una condizione di obbligo a lavorare a un’altra dove si potrebbe lavorare per vocazione (o si sarebbe ben pagati per i lavori umili o pesanti)? Che senso ha avuto, e ancora ha, questa condizione tutta umana di doversi sostentare con la propria opera? E quale missione evolutiva ci spinge a non accontentarci di vivere di raccolta e caccia come i nostri progenitori? Quale tentazione – all’opposto – ci spinge a sfruttare oltremodo le risorse naturali e il lavoro di nostri simili quando questo non è più necessario?
Queste forse retoriche domande possono indicare perché alcuni sentano il bisogno di cercare il senso del lavoro.
benché io sia un fautore dell’istituzione del reddito di base penso anche che forse ancora non lo “meritiamo”. Non quando ancora si considerano valori professionali l’essere “competitivi” e il “successo” senza considerare che dove c’è un vincitore ci sono molti perdenti e dove il successo di pochi è a scapito del decesso di molti.
Su un altro drammatico fronte, quello dei flussi migratori dai paesi poveri verso quelli ricchi, stiamo assistendo in questi anni a un fenomeno epocale. Sembrerebbe che chi non vede riconosciuto il diritto a una vita di minima dignità, giunto alla disperazione sia disposto a ricercarlo a costo della vita stessa. Il dramma dei migranti e la crisi economica ci mostrano che dove non c’è evoluzione, inizia un regresso.
Abbiamo quindi necessità e urgenza di reinventare le organizzazioni non solo col pensiero razionale ma anche col cuore. Non inteso come sentimentalismo o sensualità, ma come facoltà di equilibrio e mediazione; come qual sentimento capace di portare a espressione quella bellezza che si manifesta quando si incontrano il giusto pensare con il buon agire.
Uno dei meriti del libro di Laloux consiste nel fatto che presenta casi di organizzazioni reali e non utopie o teorie escogitate. un altro aspetto non secondario ma che può passare inosservato quando si tratta di libri di saggistica è la bellezza. Il linguaggio pieno di espressioni particolari e appropriate (che mi hanno fatto faticare col vocabolario) che illustrano il senso di aspetti non usuali e innovativi; la strutturazione conseguente e ben organizzata dei capitoli; gli indici analitici; le tabelle riassuntive; le citazioni ispirative inserite a margine; gli aspetti teorici non sterilmente intellettuali, ma supportati da esempi raccontati in prima persona dai protagonisti, le appendici dedicate agli spunti di ricerca e le considerazioni che si spingono oltre i contenuti a cercarne il senso futuro, fanno di questo libro un’opera ispirativa nella forma e accrescitiva nel contenuto.
A ulteriore dimostrazione che l’autore ha una visione avanzata secondo la quale i servizi culturali dovrebbero poter vivere solo del libero apprezzamento (in società evolute…) il libro si può liberamente scaricare in formato digitale ed eventualmente riconoscere un apprezzamento dopo averlo letto (www.reinventingorganizations.com).